Come appassionare i ragazzi allo Studio
Appassionare i ragazzi allo studio può essere una sfida, ma ci sono diverse strategie che possono aiutare a rendere l’apprendimento più coinvolgente e significativo. Il primo fattore da considerare è quello di iniziare quanto prima, con delle abitudini che possano aiutare a sviluppare un amore, per la conoscenza, fin dall’infanzia. Ad esempio, leggere insieme ogni giorno, stimola l’immaginazione, arricchisce il vocabolario e crea un momento speciale tra genitore e figlio. Per rendere tale attività più efficace, si devono scegliere dei libri che siano adatti all’età del bambino, abbiano illustrazioni e gli diano la possibilità di associare la lettura a un’attività piacevole e coinvolgente.
Creare un ambiente stimolante
Un’altra mossa vincente, può essere rappresentata dalla creazione di un ambiente ricco di stimoli per incoraggiare la curiosità, la meraviglia e la responsabilità, in modo naturale. La costruzione di un modellino o coltivare una pianta invece, può insegnare la pazienza e la soddisfazione nel portare a termine un compito. Anche la creazione di momenti di apprendimento esperienziale, come visite a musei, biblioteche, zoo o parchi naturali, possono generare apprendimento, attraverso l’osservazione e le domande.
Inoltre, è bene mostrare come le competenze acquisite possano essere utili nelle future carriere per raggiungere obiettivi personali e professionali. Queste strategie creano un’esperienza educativa che, non solo arricchisce gli studenti per le informazioni ottenute, ma anche per le ispirazioni e le motivazioni che sono state trasmesse. Tutto questo, riguarda un percorso lineare indirizzato fin dall’infanzia. Ovviamente, procedere in modo lineare e alimentare certi stimoli, porta un grande beneficio, ma che fare quando per vari motivi non si è potuto concretizzare un progetto così motivante? Si devono trovare altre vie che incoraggino una comprensione globale attraverso confronti e l’utilizzo di un linguaggio semplice.
Approfondire la conoscenza di autori come Alessandro Manzoni
Un esempio per dare sostanza a questo concetto, può essere la spiegazione di un poeta come Alessandro Manzoni. Infatti, per comprendere bene le sue scelte stilistiche, le sue tematiche, la sua personalità e cosa lo ha portato a scrivere certe opere, è imprescindibile andare oltre una conoscenza semplicistica della sua vita. Bisogna trascendere da uno studio superficiale ed esplorare il ruolo che l’aspetto religioso ha occupato all’interno delle principali scritture di Alessandro Manzoni.
Legato a questo approfondimento c’è anche il modo in cui la sfera clericale si sia manifestata in tutte le sue ramificazioni. I riferimenti, nello specifico, possono riguardare la Divina Provvidenza, la lotta del bene contro il male e il concetto di libero arbitrio. Tali domini, si riconducono ai diversi personaggi manzoniani, ma prima di procedere per questa strada, è necessario fare riferimento a tutto quel nuovo universo di valori cattolici che si è affermato nel primo Ottocento.
Il cammino spirituale di Manzoni
Proprio questa svolta storica, è sentita da Manzoni con l’impatto di chi crede che, all’interno di un mondo caotico, ci sia un forte bisogno di una ragione ordinatrice. Inoltre, per comprende una tale visione di pensiero, è fonda capire quali siano stati gli stimoli che abbiano indotto il poeta ad essere così sensibile verso tutti quegli elementi religiosi che hanno fatto manifestare, in lui, quell’entusiasmo tipico del credente, attraverso quella sorta di “voce della coscienza” in grado di orientare e aiutare il genere umano a sopportare il male.
Sicuramente, il ruolo religioso, è stato quel filo conduttore che è servito da collante per determinare certe scelte e maturare determinate considerazioni. Infatti, il percorso spirituale del poeta si è sviluppato dopo aver sperimentato, in prima persona e in piena autonomia di pensiero, prima di approdare al cattolicesimo, sia l’esperienza calvinista (matrimonio effettuato, in prima istanza, con questo rito), sia una certa simpatia per il giansenismo.
È stata la successiva e piena conversione alla religione cattolica, a mettere in evidenza il suo desiderio di raccontare le manifestazioni della fede all’umanità intera con il preciso scopo di suscitarne interesse attraverso il suo amore per la verità e l’attenzione verso gli umili. Se dovessimo dare una data “simbolo” per il suo avvicinamento a Dio, potremmo azzardare il 2 aprile 1810, proprio durante i festeggiamenti per il matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa d’Austria nella chiesa parigina di S. Rocco. In questa occasione Manzoni, smarrì sua moglie Enrichetta Blondel in mezzo alla folla e così si rifugiò nel suddetto luogo di culto e implorò la grazia per ritrovare la sua congiunta.
Il valore della fede per Manzoni
Ovviamente, anche se i due sposi si ritrovarono, la conversione del Manzoni non fu il risultato di un gesto impulsivo, dovuto a un grande spavento, ma fu comunque, il frutto di un lungo lavorio interiore. Proprio quando la religione cristiana cattolica diventò, per Manzoni, vera fede, il poeta milanese assunse quella consapevolezza che gli fece assegnare alla realtà un’interpretazione più profonda che si sostanziò nel vedere la storia come luogo in cui adopera il male e in cui si consumano ingiustizie, ma all’interno della quale, la credenza in Dio è in grado di salvare l’uomo.
È in questa visione manzoniana, che si annida il concetto di un disegno divino, secondo il quale il male serve al bene per creare il giusto terreno d’innesto da cui si manifesta la Divina Provvidenza. Lo stesso Manzoni, toccò con mano e in prima persona questa prospettiva, poiché i suoi vissuti personali lo videro coinvolto in numerosi lutti tra i propri affetti personali. Quindi, tali sventure, anche se non ebbero apparentemente nessun tipo di conforto, lo condussero alla maturazione di una virtù in grado di guidarlo verso la consapevolezza che solo un’incondizionata fiducia in Dio, può rendere migliore la vita di un uomo.
Proprio questa “logica” che sfugge alla comprensione umana e dà un senso a sofferenze e dolori, è il tema dominante di quello che viene considerato il capolavoro di Alessandro Manzoni: I Promessi Sposi. Le vicende di questo romanzo storico, coinvolgono Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, due semplici giovanotti in procinto di sposarsi. La storia si ambienta in Lombardia e viene collocata tra il 1628 e il 1630, durante l’occupazione spagnola.
L’impedimento del matrimonio e il ruolo di Don Rodrigo
Le loro vicissitudini si sbrogliano tra mille ostacoli, ma alla base di tutto c’è l’impedimento alla realizzazione del matrimonio di Lucia, perché il signorotto locale, Don Rodrigo, si è invaghito di lei. È proprio la Divina Provvidenza, che compare per ben ventidue volte (nei capitoli: VI, VIII, XIV, XVI, XVII, XXIV, XXV, XXVIII, XXX, XXXIV, XXXVI e XXXVIII), ad accompagnare lo svolgersi degli accadimenti, attraverso i personaggi. Grandi sostenitori della Provvidenza, sono proprio i due interpreti principali. Loro infatti, ne hanno una visione semplice, ma altrettanto forte, tanto da intendere l’intervento di Dio, come infallibile e volto a garantire la giustizia in difesa dei buoni.
Da questa considerazione, parte una precisazione d’obbligo, ovvero la differenza con la visione teologica del Manzoni, secondo la quale, la Provvidenza non assicura la felicità ai buoni o agli umili, in quanto tali, ma fa maturare in essi, attraverso il dolore, maggiori virtù e consapevolezze. La religione rimane comunque, un conforto, un mezzo di salvezza e una strada per scoprirsi migliori. Ad avvalorare questa tesi, è anche il carattere clericale che il Manzoni volle dare alla società lombarda del diciassettesimo secolo, ma anche il linguaggio così ricco di continui intercalari che richiamano le invocazioni.
A pronunciare queste implorazioni, non sono solo i tanti personaggi appartenenti al clero, scelti per il romanzo (don Abbondio, fra Cristoforo, il Cardinal Federigo Borromeo e la monaca di Monza), ma anche gli altri laici. Una tale considerazione era dovuta, proprio perché nei Promessi Sposi, si chiama a sostegno e si ringrazia sempre la Provvidenza. Anche se non c’è mai stato un suo intervento diretto, l’aiuto divino non è mai inteso come una grazia che si attende dall’esterno, ma è percepito come una certezza che un cuore generoso e corretto, acquista giorno dopo giorno.
La redenzione dell’Innominato
Ne sono una dimostrazione, tutti quegli cambi “provvidenziali” di comportamento in certi personaggi, specialmente dopo il loro pentimento o tribolazione. Ad esempio, il capovolgimento spirituale avvenuto con la conversione dell’Innominato e l’evoluzione del senso della vita in Fra’ Cristoforo, da uomo crudele a uomo di cuore. Tutte queste antitesi, tra un prima e un dopo, sono solo alcuni modi in cui la Divina Provvidenza si è manifestata all’interno del romanzo, evidenziando così il libero arbitrio dell’uomo e la sua possibilità di scegliere, o meno, l’aiuto della Provvidenza.
Probabilmente, il capitolo più significativo in tal senso, è stato quello in cui Lucia, attraverso il suo coraggio datole dalla fede, riuscì a trasmettere un così profondo turbamento nell’Innominato, tanto che lui decise di convertirsi e passare dalla parte dei più deboli. Proprio il personaggio di Lucia è uno tra i più forti e sereni perché ha affidato completamente la sua vita nelle mani di Dio ed è animata da vera fede. Lo stesso purtroppo, non si può certo dire di Don Abbondio, il curato del paese. Per lui infatti, esisteva solo il quieto vivere ed era esitante in tutto, pure nella parola. Altro esempio nefasto di donna al servizio della chiesa è Gertrude, conosciuta come la monaca di Monza, che addirittura infranse il voto di castità.
Questo personaggio, viene spesso appellato come “infelice”, poiché nei suoi confronti, c’è stato un mancato rispetto dell’ascolto della propria volontà e, allo stesso tempo, c’è stata una giovinezza inespressa. Addirittura, durante la lettura dei vari versi a lei dedicati, il Manzoni arriva anche a identificarla come “sventurata”. Lo scrittore, ha provato un misto di sensazioni che vanno dalla pietà alla compassione, visto che neanche il contatto con un’anima pura come Lucia (come invece avvenne per l’Innominato), le abbia trasmesso un segnale verso la via della fede! Lei infatti, pur essendo monaca, non si convertì mai veramente. Proprio tale aspetto le fu fatale. È come se fosse un personaggio predestinato a “finir male”, visto che non poté contare su nessuna forza, né terrena, né spirituale su cui aggrapparsi per cercare la salvezza dalla tirannia della famiglia. A questi personaggi spirituali che non possono certo definirsi, come esempi clericali virtuosi, si contrappone la figura del Cardinale Federigo Borromeo.
Lui, al contrario, ha rappresentato il volto positivo dell’alta gerarchia ecclesiastica e l’immagine di una presenza del bene nelle strutture più alte di una nobiltà impegnata a coltivare un’autentica religiosità e una sentita carità cristiana. I Promessi Sposi, sono anche questo: un romanzo di formazione e quindi, di insegnamento in cui ci deve essere una stabilità o un’evoluzione morale, comportamentale e religiosa. Se in alcuni personaggi, tutto ciò è mancato, in altri, come Renzo, sono stati evidenti.
La crescita di Renzo: da ragazzo ingenuo a uomo maturo
La sua crescita infatti, è stata evidente e progressiva, in quanto si è letteralmente trasformato da ragazzo ingenuo a figura ingegnosa è strategica. Inoltre, il suo affidamento alla Provvidenza, è diventato man mano più forte, fino a percepire la presenza di Dio sempre vicino a lui. Proprio questo sviluppo spirituale, lo condusse a realizzare il suo desiderio principale, cioè il suo matrimonio con Lucia. Quindi ebbe la meglio sul rivale Don Rodrigo. Quest’uomo era esattamente il suo opposto e, come la maggior parte dei signorotti dell’epoca, aveva una gran prosopopea che gli veniva solo dalle sue ricchezze e dai suoi possedimenti.
Il suo personaggio, vera essenza del male, è ben lontano da ogni intervento provvidenziale, effettua una vera e propria parabola discendente tanto che, con il susseguirsi delle vicende, si scopre insicuro e tradito da chi pensava che gli fosse amico, per poi essere pure vittima della peste. In questo caso, anche la sventura è provvidenziale, poiché è giusto dare un senso al fatto che chi faccia del male, prima o poi, sia oppresso. L’insegnamento più importante che ci trasmette il Manzoni è proprio quello di perseverare nell’affermazione dei valori positivi, di non arrendersi mai e di affidarsi all’occhio vigile della Divina Provvidenza.
È anche per questo motivo, che il credo religioso dei Promessi Sposi si possa definire inconfondibilmente cattolico cristiano. Proprio tra le parole scritte in questo romanzo storico, il Manzoni ha sempre mantenuto vivo il suo credo religioso dando un taglio universalistico della Grazia divina che, assieme al potere umano, ha concesso ai vari personaggi di poter sempre scegliere tra il bene e il male.
La conclusione di Fra’ Cristoforo
Il senso cristiano del romanzo, si evince anche dalle parole che Fra’ Cristoforo spende per i due giovani fidanzati, alla fine del romanzo: “Ringraziate il cielo che v’ha condotti a questo stato, non per mezzo dell’allegrezze turbolente e passeggere, ma co’ travagli e tra le miserie, per disporvi a un’allegrezza raccolta e tranquilla”. In altri termini, il dolore purifica ed eleva. È anche per questo motivo che il suddetto romanzo storico è contrario alla visione giansenistica, che promuove invece, una giustizia operante fondata sulla salvezza dell’anima che avviene miracolosamente, solo per effetto della Grazia, la quale non è concessa a tutti, ma soltanto a pochi eletti e che quindi, non lascia spazio al libero arbitrio.
Anche se I Promessi Sposi, è stato il capolavoro di Manzoni, è bene allargare l’orizzonte che abbraccia la morale religiosa e sposa il concetto di Divina Provvidenza, per espanderlo anche verso altri scritti che si possono sostanzialmente dividere in due momenti temporali, ovvero in opere antecedenti e posteriori alla sua conversione. Per quanto riguarda gli scritti giovanili di Manzoni, probabilmente, In morte di Carlo Imbonati, ha rappresentato un buon punto di partenza per far trasparire il desiderio di intendere la poesia come luogo privilegiato che possa dar vita a riflessioni morali che siano in grado di trasmettere, al lettore, i valori della verità e dell’amore.
Proprio tali virtù, pur essendosi manifestate prima della conversione, non vanno considerate soltanto come un aspetto meramente razionale, ma anche come un solido e proficuo terreno d’innesto di un grande impegno morale.
La denuncia della corruzione morale nella giovinezza di Manzoni
Per Manzoni infatti, la verità è unica, deriva da Dio e si palesa all’uomo attraverso la ragione e la rivelazione che, a loro volta, non possono essere in contrasto tra loro. In morte di Carlo Imbonati (1805), viene esaltata proprio la formazione dell’uomo morale all’interno di un colloquio immaginario con il defunto compagno della madre (Carlo Imbonati), ipotizzò di ricevere dei consigli di vita che lo indirizzassero verso la via maestra della correttezza di azione e pensiero. Fu proprio l’assenza di questi valori a far definire, dallo stesso Imbonati, tramite il carme, la morte come una condizione sopportabile e consolatoria poichè gli ha concesso di staccarsi definitivamente da una società priva di meriti. Di qui l’invito verso un’attenzione maggiore al significato della vita stessa, osservata da una prospettiva distaccata da essa. In questa fase totalmente laica, è comunque interessante rilevare come, già dagli esordi, riecheggi una forte denuncia di una corruzione morale che è sempre rimasta alla base del suo pensiero religioso. L’impronta cristiana è dunque profondamente presente nei vari campi dell’agire umano e la sua successiva conversione al cristianesimo fu solo un modo di approfondire concretamente ciò che già era presente nel suo animo.
La concezione provvidenziale negli Inni Sacri
Risale a questo periodo, anche Urania (1809), un poemetto che, sottoforma di favola mitologica, celebra la funzione civilizzatrice della poesia. L’importanza di Urania, all’interno di questo elaborato, è fare una sorta di spartiacque, infatti segna il momento del definitivo distacco dalla poetica della giovinezza e, allo stesso tempo, dell’avvio verso una poesia sempre più lontana da tutto ciò che sia pagano e maggiormente ispirata al vero storico e a tutti quegli aspetti legati alla vita morale.
Alla stagione letteraria posteriore alla conversione, risalgono invece, gli Inni Sacri, scritti tra il 1812 e il 1827. Essi nascono, come frutto di una preghiera in versi espressa in poesia corale, non come poesia soggettiva. Il preciso intento è quello di esaltare la nuova dimensione della sua spiritualità e quindi, una sorta di omaggio del convertito verso la fede ritrovata. Manzoni si propose di celebrare le principali feste liturgiche con dodici inni, ma ne scrisse solo cinque (La Risurrezione, Il Nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste).
Questa sua maestosa opera inoltre, aveva anche il preciso scopo di contrapporre i contenuti cristiani ai racconti mitologici dell’epoca neoclassica. La voce del poeta infatti, è come se si esprimesse secondo un punto di vista corale e intendesse imporre l’attualità delle feste cattoliche, attraverso il ripetersi e il rinnovarsi degli eventi sacri che hanno impresso un segno originario ed eterno sulla mutevolezza della storia. Ciò che ne consegue è una fede rigenerata che infonde coraggio e che ingloba tutti; umili e potenti, oppressi e oppressori. Si tratta di una liturgia che non vuole essere cerimonia esteriore, ma regola di vita.
Fra tutti Gli Inni Sacri, è probabilmente La Pentecoste a far convergere quegli ideali manzoniani di libertà e fraternità e dimostra come la sofferenza umana possa essere superata mediante la fede in Dio, attraverso quella certezza che fa rientrare il dolore in un disegno superiore. Quindi, già negli Inni Sacri, era ben presente la concezione provvidenzialistica in cui Dio guida le vicende della storia partecipando alle sofferenze degli uomini e vivendo in tutti coloro che soffrono.
La funzione rigeneratrice della fede negli Inni Sacri
L’apertura del varco all’azione della Divina Provvidenza si sostanzia proprio in quell’intermediazione che c’è tra Dio e la vita terrena. Ecco perché, Manzoni ha l’intento di far percepire la religione, non come delega celeste, ma come qualcosa di concreto che, anche grazie alla Chiesa (intesa come comunità vivente dei Cristiani), si presenta come una solida interpretazione di una realtà in cui si devono perseverare i valori della giustizia e della fratellanza.
Gli Inni Sacri, si fondano proprio su una base democratica che identifica tutti gli uomini come fratelli di Cristo e che vede Dio vicino a tutti; dalla povera fanciulla indifesa, allo schiavo, fino ad arrivare all’oppresso. Altro esempio di scrittura in cui Manzoni si espone da un punto di vista religioso e descrive sempre l’importante ruolo della Divina Provvidenza, è la tragedia. Sono esempi in tal senso: Il Conte di Carmagnola (1819) e Adelchi (1821-1822). L’interesse manzoniano per la tragedia era quello di suscitare, nel lettore, una coscienza critica, che è sempre formativa, capace di distinguere tra il bene e il male, attraverso una ricerca dei più intimi e nascosti valori sentimentali.
Il Conte di Carmagnola e la condanna della guerra
Manzoni, all’interno della storia, sceglie avvenimenti interessanti e drammatici e li accompagna con tutte quelle parole che hanno chiarito l’agire dei vari personaggi. Quindi, ciò che è passato quasi sotto silenzio dalla storia e che è diventato, per lui, dominio della poesia. Sta al poeta, svilupparne un ideale di giustizia in grado di far capire e perdonare l’umana miseria che nasce dalla debolezza dell’uomo e che porta inesorabilmente alla rinuncia dell’affermazione del vero bene.
Nel Conte di Carmagnola, c’è un’ampia condanna alla guerra e al suo correlato impiego della violenza. Proprio questo conflitto inoltre, si presenta come una strage irrazionale tra italiani che muoiono senza una vera ragione, dando maggiori opportunità di conquista allo “straniero” che approfitta della debolezza altrui. In un orizzonte del genere si svolgono le vicende di Francesco Bussone, Conte di Carmagnola, che passa dal servizio dei Visconti di Milano a quello della Repubblica di Venezia.
Lui, pur essendo un uomo corretto e fautore del successo della battaglia più importante combattuta al fianco del suo esercito, viene accusato di tradimento e condannato ingiustamente a morte dagli intriganti uomini politici veneziani. Tutto ciò, nasce dal fraintendimento di un gesto generoso, ovvero quello di liberare molti dei prigionieri. Tanto è servito per voler togliere la vita a un uomo!
L’accettazione della morte come Grazia nel Conte di Carmagnola
Questa è la prova dell’azione del male sulla terra, ma è anche viva testimonianza di come il Conte di Carmagnola accetti la morte come Grazia, visto che è l’unica via per ricongiunsi a Dio. Infatti, il Conte andrà incontro alla morte come un martire cristiano che si approssima al supplizio e alla “passione” dell’innocente. L’obiettivo morale consiste quindi, nella riflessione sulla sorte dell’eroe destinato al sacrificio, sui tormenti che accompagnano la sconfitta e sul misconoscimento della rettitudine.
Di qui, la sublimazione della sua virtù calpestata, diventa strumento di insegnamento morale, per gli altri, ricavato dalla lezione della sua vicenda. Altra tragedia ricca di punti di vista contrapposti, è l’Adelchi. In questo lavoro letterario, non c’è solo una specifica lotta tra il bene il male, ma lo scontro tra sentimenti e l’innalzamento ai travagli della vita, come redenzione. Adelchi infatti, è un uomo di cuore che desidera combattere ogni forma di male per promuovere la giustizia e il bene.
La partecipazione del Manzoni converge tutta, verso i due personaggi principali che, in modi diversi, si oppongono radicalmente ai rapporti di potere. Lo stesso Adelchi infatti, è sempre costretto ad adattarsi alle decisioni del padre Desiderio e questa condizione, fa di lui un oppresso nell’azione e nell’animo. C’è una continua lotta, in lui, tra ciò che è reale e ideale. Le violenze e le guerre che sono parte autentica della storia, contrastano quindi con la teoria della fede in Dio. Proprio quest’animo nobile, sembrerà trovare nella morte, quella giustizia divina tanto desiderata in vita.
Ermengarda: una vittima remissiva
Altra vittima remissiva di questa tragedia è Ermengarda, sorella di Adelchi e sposa ripudiata da Carlo Magno, che si proietta verso la consolazione e la pace di una morte cristiana. Dunque, solo la morte e con sé, la provvida sventura, le concede di abbandonare i “terrestri ardori” e di avvicinarsi a una nuova vita serena e priva di conflitti. Il suo risorgere con la morte, in un mondo incontaminato in cui non c’è chi partecipa alla forza e al potere, colloca Ermengarda tra gli oppressi e, tutto ciò, è come se la riscattasse dalla colpa, non sua, di appartenere alla stirpe degli oppressori. Alla categoria dei vessatori appartiene anche Napoleone.
Manzoni gli dedicó, nel 1821, l’ode Il Cinque maggio. La scrisse subito dopo aver appreso la notizia della sua morte e non lo tratteggió nella sua ascesa di conquistatore, ma lo ritrasse come un vinto nel momento della verità, ovvero nell’istante in cui la sua superbia è stata punita. Con una profonda pietà, viene ripercorsa la vita di Napoleone, presentato come uomo semplice scrutato nei suoi sentimenti contrastanti che hanno contraddistinto la sua esistenza tra genialità e rovina. Le discordanti vicende della storia acquistano un senso, proprio quando vengono rapportate alle certezze dell’etica cristiana.
Una tale consapevolezza, è data proprio dal fatto che tutti gli uomini, dal più piccolo al più grande, hanno bisogno di essere salvati e perdonati. Anche nel Cinque Maggio dunque, troviamo un Dio che “atterra e suscita/affanna e consola”e offre a Napoleone, un disegno divino provvidenziale che, attraverso la solitudine dell’esilio, lo conduce a una riflessione sulla pace spirituale. Questa sarà poi, la sua ultima grande “vittoria” che lo porterà a riconoscere e ad abbracciare la misericordia di Dio. Manzoni, in quest’ode, distingue appunto tra ciò che rappresenta la vana gloria ottenuta dalle sue illustri imprese e la vera gloria, trovata nella sconfitta terrena per inginocchiarsi davanti a Dio.
La vera gloria di Napoleone
Quindi, Napoleone, secondo la visione manzoniana, ha raggiunto una nuova e più grande gloria attraverso l’intervento provvidenziale di Dio che lo ha soccorso, risvegliando in lui la fede. Proprio nella vita di Napoleone, si può riconoscere la mano della Provvidenza che lo ha collocato al centro di vicende eccezionali e grandiose, visto che il suo destino non fu comune. Sempre nel 1821, scrisse un’altra ode: Marzo 1821. L’idea cruciale nel testo è l’esaltazione della libertà di tutti i popoli, visto come un dono di cui Dio (padre di tutte le genti) stesso è garante. Quindi, il richiamo alla fratellanza, come valore cristiano, è universale e indirizzata a tutte le nazioni civili.
Nello specifico, non solo agli Italiani (incitati a liberarsi dagli stranieri), ma anche al popolo tedesco. In quest’ode, di forte sentimento patriottico, si assiste a un saldo fondamento religioso, oltre che a una forte affermazione del sicuro sostegno che, agli italiani, giungerà da quel Dio che nell’Antico Testamento era spesso intervenuto a liberare Israele dalle sopraffazioni dei popoli oppressori. La guerra è giustificata come strumento di giustizia e libertà e finalmente, anche in Italia, “non c‘è cor che non batta per lei”.
La grandezza dell’opera di Manzoni
Nella sintesi di tutte queste opere, l’ideologia dello scrittore milanese ha dato dimostrazione di contenere le diverse anime della cultura cattolica italiana e di dar voce alle sofferenze, ai sentimenti e agli affetti di un popolo che, all’interno della storia, è stato solo un soggetto marginale. La grandezza dell’opera manzoniana è anche nel modo in cui porta alla luce tutti quei modi in cui gli uomini tradiscono e interpretano, a loro piacere, il messaggio della fratellanza e della giustizia cristiana.
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